Don Domenico Leonati

PROFILO BIOGRAFICO DI DON DOMENICO LEONATI (1703-1793)
parte 1
Domenico senior Leonati (fino al 1737, nei documenti dell'epoca il cognome è spesso trascritto anche «Lionato» o “Leonato”), nasce il 12 Febbraio 1703 a Battaglia (oggi Battaglia Terme) in provincia di Padova, località a circa 16 km dal capoluogo, lungo l'omonimo Canale che la congiunge alla città e prosegue attraverso altri rami verso Monselice ed Este. Si tratta del decimo dei tredici figli nati da Domenico (1665-1710) e Antonia Tonini (n. 1666), due dei quali, Carlo (1700-1761) e Domenico junior (1710-1769), diverranno sacerdoti come il fratello. Il padre del futuro Fondatore, aiutato dalla moglie, conduce una «Hostaria», ovvero una locanda con annessa rivendita di viveri, destinata ad accogliere non solo viaggiatori e commercianti, ma anche persone giunte nel paese per le cure termali - che tuttora vengono praticate diffusamente in vari centri ai piedi dei versanti est dei Colli Euganei - . Grazie a tale attività, e alle modeste rendite di alcune case di proprietà della famiglia, Domenico e Antonia mantengono sé stessi e i figli in condizioni di relativo benessere, sino alla morte del padre, per «febbre creduta maligna», nel 1710.
parte 2
Negli anni seguenti, nonostante il duro lavoro dei tre figli più anziani, la famiglia affronterà disagi e ristrettezze, fino a quando lo stesso Domenico, intorno al 1735, riuscirà a riscattarne le entrate liberandola da tutti i debiti.
Questi viene battezzato il 15 febbraio 1703 da don Antonio Gentili, parroco a Battaglia dal 1690 al 1738. Costui riconosce nel ragazzo una buona inclinazione agli studi scorge in lui i germi della vocazione al sacerdozio. Grazie alle conoscenze che mantiene a Venezia, sua città natale, il parroco invia una raccomandazione speciale per Domenico presso l’allora patriarca card. Pietro Barbarigo (nipote di s. Gregorio Barbarigo), così da far ammettere il giovane, nel 1713 (come già, due anni prima, il fratello Carlo), presso il monastero di S. Cipriano, nell’isola di Murano, ospitante a quel tempo la «Schola sacerdotum» del Patriarcato. In seguito, compiuti gli studi di grammatica e retorica, nel 1720 Domenico entra nel Collegio «Tornacense» che a Padova accoglie ogni anno sei chierici poveri destinati agli studi di diritto presso l’Università. Il giovane consegue la laurea «utroque iure» già nel 1722. Nel frattempo, senza abbandonare il Collegio, porta a termine la preparazione necessaria all’ordinazione presbiterale. In quale data precisa sia avvenuta quest’ultima, non è noto; dovette aver luogo a in uno degli anni (1723-1730) per i quali mancano nell’Archivio della Diocesi di Padova annotazioni relative ai sacerdoti ordinati in quel periodo. Esiste però un atto firmato dal «sacerdote» Domenico Leonati nel 1726. Domenico potrebbe anche aver ricevuto gli ordini per le mani del patriarca Pietro Barbarigo, che l’aveva accolto nel monastero di Murano e ne aveva sostenuto la formazione; in tal caso il sacramento dovrebbe essere stato conferito a don Leonati entro il 1725, anno nel quale ebbe termine l’episcopato del Barbarigo a Venezia.
parte 3
Scarse sono pure le informazioni sui primi anni di ministero di Domenico Leonati, fino al 1730. È verosimile che abbia aperto a Padova, assieme al fratello don Carlo, un collegio-convitto per studenti dell’Università, allo scopo di preservare e consolidare la loro vita cristiana e contrastare i costumi rilassati ai quali si abbandonava gran parte dei giovani giunti in città per gli studi, vivendo per lunghi periodi lontano dalle loro famiglie.
Nel 1730, don Carlo Leonati viene nominato arciprete di Montagnana, storico borgo nell'estremo lembo sud-ovest della provincia di Padova, a poco meno di 60 km dal capoluogo. Vi si trasferiscono anche i due fratelli Domenico senior e Domenico iunior — quest’ultimo non ancora ordinato — e forse la madre Antonia. Anche in quella località don Carlo istituisce un convitto, alla cui attività don Domenico partecipa ancora una volta. Inoltre si adopera a seguire la formazione sacerdotale dell’omonimo fratello minore. Nel 1734, però, il vescovo di Padova, Minotto Ottobuoni, designa don Domenico come «Vicario adiutore» presso la natia Battaglia, dove il parroco — lo stesso don Gentili che ha battezzato e avviato al seminario i tre fratelli Leonati — versa in grave infermità e non può essere adeguatamente assistito dal cappellano don Anastasio Damiani, anche lui vecchio e debole di udito. Don Domenico Leonati assolve il nuovo incarico con dedizione esemplare, grato di poter essere di aiuto al sacerdote al quale la sua vocazione deve tanto. Preferisce mantenere l’incarico anche quando il vescovo Ottobuoni lo invita — con evidente manifestazione di stima — a concorrere per l’assegnazione della parrocchia di S. Margherita d’Adige.
Con tutte le facoltà dell’amministratore parrocchiale, il Servo di Dio rimane a Battaglia fino al 1737, allorché il Vescovo nomina per quella chiesa un nuovo amministratore e sceglie lui come rettore della parrocchia di Ponte di Brenta, a circa 6 km dalla città.
parte 4
Nella parrocchia di Ponte di Brenta, a circa 6 km dalla città, Don Domenico compie il suo ingresso il 3 marzo di quello stesso anno il 1737. Oggi popoloso rione periferico del comune di Padova, lungo la strada che appena più ad est si dirama nelle vie per Venezia e Treviso, l’abitato di Ponte di Brenta si è formato già alla fine del secolo XII — prendendo il nome dal fiume omonimo, e dal ponte allora costruito per agevolare le comunicazioni tra i territori del Padovano e del Veneziano — come agglomerato comprendente abitazioni di barcaioli e altri fabbricati adibiti al trasporto fluviale.
In seguito il borgo è venuto ingrandendosi con progressivi disboscamenti, da cui si sono ottenute vaste aree coltivabili. Quando don Leonati vi giunge come parroco, trova una popolazione ancora costituita per la maggior parte da barcaioli, locandieri, fittavoli: una situazione non dissimile da quella della natia Battaglia. Nel paese e negli immediati dintorni sorgono pure numerose residenze patrizie, in cui dimorano, per parte dell’anno, le famiglie dei possidenti della zona. Ponte di Brenta è stata eretta come parrocchia agli inizi del secolo XV, e dotata alla medesima epoca di una chiesa, edificata forse sullo stesso luogo di un’altra precedente di due secoli.
parte 5
Alla chiesa don Domenico dedica subito grandi attenzioni, per realizzare un nuovo edificio adeguato alle esigenze dell’accresciuta popolazione. Così, fra il 1741 e il 1747 sorge e viene consacrata l’attuale chiesa — tuttora la chiesa parrocchiale — per cui il parroco si rivolge ai più valenti costruttori e artisti attivi nella regione in quel periodo: fra questi, Giovanni Bonazza e Agostino Fasolato. A quest’opera aggiunge la costruzione dei locali per l’alloggio dei predica tori straordinari, per moltiplicare nella comunità le occasioni di ascolto e meditazione sulla Sacra Scrittura. Lo stesso don Domenico, d'altronde, si farà gradualmente apprezzare come valido confessore e predicatore, venendo più volte chiamato ad impartire meditazioni ed esercizi spirituali (nel 1748 anche agli ordinandi presbiteri della Diocesi). Alla cura per le opere di evangelizzazione, affianca la dedizione alla catechesi dei fanciulli e degli adulti e l’assidua presenza nel confessionale, che egli definisce la propria «cattedra». Don Leonati si adopera anche per diffondere e accrescere le devozioni più fruttuose per la vita cristiana. Istituisce l’adorazione perpetua diurna del Santissimo Sacramento; fa costruire nella nuova chiesa l’altare al Sacro Cuore (in anticipo sull'istituzione di tale solennità, da parte di papa Clemente XIII, nel 1756); riordina e rafforza le attività delle varie confraternite; oltre alle devozioni già ricordate, cura quella alla Santissima Trinità e alla Beata Vergine del Rosa rio; introduce la pratica dell’Ottavario dei morti e organizza l’adorazione straordinaria delle Quaranta ore. (continua)
parte 6
La sua saggezza pastorale emerge pure dal modo in cui affronta la questione della presenza — menzionata qui sopra — di diverse ville patrizie, quasi tutte dotate di oratori propri con i rispettivi cappellani. Don Domenico si rende conto da subito di doversi adoperare, dapprima, con tutti quei fedeli che per comodità preferiscono frequentare le celebrazioni tenute presso le cappelle più vicine, anziché quelle nella chiesa parrocchiale; in seguito, presso gli stessi nobili proprietari di quelle dimore. Ricorrendo alla forza della persuasione, il parroco conquista la fiducia della sua gente attraverso una sapiente azione caritativa — che esercita sia personalmente sia, come verrà spiegato fra poco, con la creazione di una nuova opera in aiuto alla gioventù femminile — tentando di raggiungere con essa il maggior numero possibile di quanti, fra i suoi fedeli, risultino materialmente o spiritualmente bisognosi. In tal modo, con l’efficacia della sua predicazione, e dei suoi numerosi progetti pastorali, il Servo di Dio riporta a poco a poco la chiesa di Ponte di Brenta alla sua funzione di centro e “luogo naturale” della pratica cristiana per quella comunità. (continua)
parte 7
Diverse famiglie fra i locali possidenti diverranno benefattrici della parrocchia e del Leonati in persona. Grazie a tali benefattori — oltre la carità dei fedeli meno facoltosi — don Domenico Leonati giunge, nel 1740, a concretare un pro getto che gli sta particolarmente a cuore. Se già nei primi anni del suo ministero raccolto diversi studenti universitari in convitti nei quali provvedere alla loro formazione religiosa e tutelare la loro integrità morale, a Ponte di Brenta il sacerdote incontra giovani che per la maggior parte devono assai presto impegnarsi nel lavoro, come contadini, barcaioli, o apprendisti nelle sempre più numerose botteghe artigiane. Ne soffre la loro educazione, per i più ridotta a pochi anni di istruzione rudimentale. Più esposte al pericolo risultano molte ragazze e fanciulle, le quali, in un conte sto economico impostato soprattutto su mestieri allora riservati ai maschi — lavori agricoli a parte —, rischiano maggiormente di venire abbandonate a sé stesse o sfruttate in attività disonoranti e degradanti. Per affrontare questa realtà, don Domenico concepisce l’idea di un «Conservatorio», destinato a «raccogliere miserabili fanciulle», come egli stesso scriverà in una Memoria autobiografica e di intenti del 1779, «per toglierle dall’ignoranza circa la nostra santa Religione, e dall’ozio, facendole assistere da maestre di molta probità». (continua)