Novità sul Brenta
La storia
Novità sul Brenta della Padova romana
Fino ad oggi (2013) gli storici hanno ritenuto che il fiume della Padova paleoveneta e romana, l’antico Medoacus, fosse il Brenta e che per uno sconvolgimento idrografico avvenuto verso la fine del VI secolo d.C., questo corso d'acqua si fosse spostato più a nord, cedendo il suo alveo al Bacchiglione.
A sostegno di questa tesi, i grandi ponti romani a tre e a cinque arcate della città, stanno lì a testimoniare di un alveo adeguato per il Brenta ma troppo ampio per il Bacchiglione.
Uno studio recentissimo, relativo al progetto Padova Underground, promosso dal Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, sembrerebbe però smentire questa “certezza storica”.
La ricerca ha interessato un ampio tratto di pianura compreso tra i fiumi Brenta e Bacchiglione, con particolare attenzione all’area urbana e al centro storico di Padova. L’area oggetto dello studio risulta attraversata da due bacini idrografici disposti approssimativamente in direzione ovest-est e convergenti sulla città, separati da una dorsale, ma con un punto di collegamento nei pressi di Veggiano. Quello più settentrionale corrisponde alla fascia di paleomeandri detta della Storta, quello meridionale all’attuale bacino del Bacchiglione.
Grazie a riprese satellitari e rilevamenti da aereo con sensori laser e fotocamere digitali multispettrali, è stato possibile riconoscere gli antichi percorsi fluviali e le impercettibili elevazioni del terreno, di origine naturale e antropica, che contraddistinguono questo territorio. Sulla base delle indicazioni emerse sono stati poi effettuati una serie di carotaggi mirati per stabilire quali fiumi abbiano attraversato la città e quando.
Il risultato è sorprendente: secondo i ricercatori il Brenta ha sì formato l’ansa e la controansa entro le quali Padova è nata e si è sviluppata come sempre si è creduto, ma, e qui sta la novità, ha deviato il suo corso lasciando al Bacchiglione il suo bacino e alveo meridionali, non nel 589 d.C., ma bensì molto tempo prima: nel secondo millennio a.C..
Il Bacchiglione sarebbe quindi il fiume di Padova fin dalla sua origine, che è da collocare intorno o poco dopo il mille avanti Cristo e di conseguenza la città non avrebbe mai visto scorrere fra le sue mura le acque del Brenta.
Gli storici sono serviti. Ma a questo punto c’è da chiedersi perché mai i Romani, costruttori logici e razionali, abbiano realizzato ponti in apparenza così inutilmente lunghi se il corso d'acqua cittadino è sempre stato il Bacchiglione, fiume dalla modesta portata.
La cosa in realtà può essere logicamente spiegabile: innanzitutto l’alveo era, come stabilito, quello antico del Brenta, quindi già ampio. Inoltre a quell’epoca il Bacchiglione stesso era un fiume di portata maggiore rispetto a oggi che gran parte delle sue acque vengono dirottate nel canale Battaglia e nello Scaricatore.
E comunque è un fiume soggetto da sempre a piene disastrose. Non sorprenderebbe quindi che i Romani abbiano ritenuto prudente lasciarlo scorrere in una alveo sufficientemente ampio da contenerne le piene.
Ulteriori studi e approfondimenti ci confermeranno o meno la nuova teoria, che dovrà essere riconosciuta dalla comunità scientifica.
Lo studio ha anche definitivamente spiegato perché Padova sia nata proprio in quel punto, fra quei due meandri, e non fra altri. Molto semplicemente, perché all’interno di queste due anse il livello del terreno era leggermente più elevato che nel resto della pianura, offrendo una maggiore sicurezza, ma garantendo nel contempo approvvigionamento idrico e facilità di comunicazioni. Si tratta di pochi metri, non decine, ma sufficienti per fare la differenza rispetto a un terreno naturalmente soggetto a impaludamento, come era allora la pianura veneta, percorsa da fiumi meandriformi, di regime imprevedibile e soggetti a divagazioni continue.
Uno studio recentissimo, relativo al progetto Padova Underground, promosso dal Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, sembrerebbe però smentire questa “certezza storica”.
La ricerca ha interessato un ampio tratto di pianura compreso tra i fiumi Brenta e Bacchiglione, con particolare attenzione all’area urbana e al centro storico di Padova. L’area oggetto dello studio risulta attraversata da due bacini idrografici disposti approssimativamente in direzione ovest-est e convergenti sulla città, separati da una dorsale, ma con un punto di collegamento nei pressi di Veggiano. Quello più settentrionale corrisponde alla fascia di paleomeandri detta della Storta, quello meridionale all’attuale bacino del Bacchiglione.
Grazie a riprese satellitari e rilevamenti da aereo con sensori laser e fotocamere digitali multispettrali, è stato possibile riconoscere gli antichi percorsi fluviali e le impercettibili elevazioni del terreno, di origine naturale e antropica, che contraddistinguono questo territorio. Sulla base delle indicazioni emerse sono stati poi effettuati una serie di carotaggi mirati per stabilire quali fiumi abbiano attraversato la città e quando.
Il risultato è sorprendente: secondo i ricercatori il Brenta ha sì formato l’ansa e la controansa entro le quali Padova è nata e si è sviluppata come sempre si è creduto, ma, e qui sta la novità, ha deviato il suo corso lasciando al Bacchiglione il suo bacino e alveo meridionali, non nel 589 d.C., ma bensì molto tempo prima: nel secondo millennio a.C..
Il Bacchiglione sarebbe quindi il fiume di Padova fin dalla sua origine, che è da collocare intorno o poco dopo il mille avanti Cristo e di conseguenza la città non avrebbe mai visto scorrere fra le sue mura le acque del Brenta.
Gli storici sono serviti. Ma a questo punto c’è da chiedersi perché mai i Romani, costruttori logici e razionali, abbiano realizzato ponti in apparenza così inutilmente lunghi se il corso d'acqua cittadino è sempre stato il Bacchiglione, fiume dalla modesta portata.
La cosa in realtà può essere logicamente spiegabile: innanzitutto l’alveo era, come stabilito, quello antico del Brenta, quindi già ampio. Inoltre a quell’epoca il Bacchiglione stesso era un fiume di portata maggiore rispetto a oggi che gran parte delle sue acque vengono dirottate nel canale Battaglia e nello Scaricatore.
E comunque è un fiume soggetto da sempre a piene disastrose. Non sorprenderebbe quindi che i Romani abbiano ritenuto prudente lasciarlo scorrere in una alveo sufficientemente ampio da contenerne le piene.
Ulteriori studi e approfondimenti ci confermeranno o meno la nuova teoria, che dovrà essere riconosciuta dalla comunità scientifica.
Lo studio ha anche definitivamente spiegato perché Padova sia nata proprio in quel punto, fra quei due meandri, e non fra altri. Molto semplicemente, perché all’interno di queste due anse il livello del terreno era leggermente più elevato che nel resto della pianura, offrendo una maggiore sicurezza, ma garantendo nel contempo approvvigionamento idrico e facilità di comunicazioni. Si tratta di pochi metri, non decine, ma sufficienti per fare la differenza rispetto a un terreno naturalmente soggetto a impaludamento, come era allora la pianura veneta, percorsa da fiumi meandriformi, di regime imprevedibile e soggetti a divagazioni continue.