Spigolature
Un furto perpetrato nottetempo
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“L’Investiture, gl’Instrumenti e Lassi (=lasciti) non li mostreremo perché (sii detto con modestia) (cioè parliamone poco per amor di Dio) del 1600 doi Frati da Noventa in tempo di notte rubarono lo scrigno ove erano tutte le scritture e acquisti di detta Fabbrica (=della chiesa) e posto nella Sacrestia con tutto il dinaro (che) si ritrovava, Calici e Croci d’argento ad impulso e persuasione di chi per riverenza si tace, e furno le scritture con il scrigno in corte del Monastiero di Noventa abbrugiate come si può vedere dal processo che habbiamo fatto formar del 1616”.
Di chi mai ci si può fidare?
L’orologio di San Lazzaro
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Dopo qualche tempo dalla sua installazione, a quell’orologio però caddero le lancette che per sua disgrazia non vennero più sostituite.
Questo fatto ha generato un modo di dire rimasto in uso fra i giocatori di briscola della nostra zona, che riferendosi all’asso di denari, abitualmente chiamano quella carta “l’orologio di San Lazzaro” per similitudine della figura dell’asso con il quadrante dell’orologio privo di lancette.
Due record
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Il “secchiaretto” , il “secchiello”, le “casse” e “l’armaro con le casselle” della sacrestia
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“La Sacrestia della chiesa è assai comoda tutta fatta a volto dalla parte di mezzodì con una sola finestra coi suoi vetri e ferri (=inferriata). Ha il suo secchiaretto di pietra di Nanto col suo secchiello da lavarsi le mani. Ha doi casse da tenir dentro la roba di Chiesa però di pezzo. Un grand’Armaro con quattro casselle grandi da tenir le Pianette e Camisi, et poi otto Cassettini fatti l’anno 1642 da tenir velli da calici velli da Cristi, et un loco da tenir i Calici che s’adoperano presentemente con un Cassettino da Purificatorii ecc. et un altro loco in Muro da tenir l’Argentaria tutta fatta far da me l’anno 1647”.
Confusione amministrativa
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“…Questa Fraglia molti anni sono che incominciò; possono essere 35 circa (verso il 1620), ma ha avuto il suo splendore l’anno 1640 con nova riforma poiché né si teneva conto delle Messe, et li soldi erano portati a casa: era piuttosto una confusione che altro, ma con l’aiuto di Dio hora (nel 1655) s’attrova in tutta perfezione havendo fatto comprar una Notarella (= libro di cassa) ove si nota il speso; fatto poner la Cassella in Chiesa dove sono posti i danari, senza esser tochati…”
Da sperare che si trattasse soltanto di confusione.
…Gittato in un cantone
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“..Ma perché io gramo (=ammalato) ero absente (contra absentes omnia juria clamant) (=tutti i diritti sono contro gli assenti) ero gittato in un cantone, più di me non si curava…”.
Ponte di Brenta nel ‘600 era famosa per l’insegnamento della Dottrina Cristiana
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In quegli anni la dottrina era frequentata “…ogni domenica da 300 fanciulli tra putti e putte anco dalle ville circonvicine;…” e “…vi sono putti e putte così studiosi, che con l’occasione d’imparar la dottrina imparano legger, et sono studiosissimi, et questo se vede dal frequentar che fanno non solo la detta dottrina, ma vi è più i Vespri, il Rosario la Compieta, cose tutte che si cantano ogni festa; et sempre si trovano putti con i suoi officietti in mano che rende grazioso spettacolo et è di somma edificazione…”
Alla domenica si distribuiscono anche santini e regali, soprattutto ai più bravi: “poiché ogni prima domenica di certo si dispensano i Santi (=santini) e se ne danno non solo a tutti putti e putte che sono presenti, ma anco a tutti gli huomini e donne che si trovano in chiesa; ogni domenica poi si dispensano i Santi in particolare e si danno a quelli che interrogati di qualche cosa sono più presti a rispondere bene; a quelli o quelle che disputano se li danno non Santi ma Agnus Dei (=oggetti di devozione), corone et alle putte anco scarpe, cordelle e veli…”
L’insegnamento della dottrina doveva godere proprio di gran fama perché: “…La frequenza del popolo che non solo dal Ponte di Brenta ma dalle ville circonvicine si porta ogni domenica alla chiesa del Ponte per veder consultar et osservare le suddette cose è assai considerabile perché si vede d’ogni stato di persone anco da Padova trasferirsi a posta al Ponte e mossi dalla fama della Dottrina Cristiana, et del modo d’insegnarla che ognun però parte consolato…”
In quell’anno i ragazzi erano distribuiti in dodici classi e oltre che dal parroco, erano seguiti da 48 "operari/e" (insegnanti d’ambo i sessi).
Un difensore del suo popolo
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Ognuno di questi oratori era dotato dei paramenti e dei vasi sacri necessari per la celebrazione della Messa; avevano l’altare (solo benedetto, mai consacrato) e il tabernacolo, se c’era, non aveva la facoltà di conservare il Santissimo. Alla domenica vi si celebrava la Messa a comodo dei nobili e dei contadini affittuari dei loro poderi.
Le ricche famiglie provvedevano al mantenimento d’un sacerdote che spesso s’occupava anche dell’istruzione dei loro figli come “aio” (=precettore, maestro) oltre, naturalmente, a prestare il servizio religioso nell’oratorio.
Tali “abati cappellani”, che godevano d’uno stipendio più che sufficiente e sicuro, spesso non davano un buon esempio di vera pietà e di rigore morale: provenivano da paesi fuori diocesi, vagavano alla ricerca delle più vantaggiose mansionerie, erano dotati di ben scarsa formazione teologica e sacerdotale, portavano “vesti corte” (indossavano cioè vestiti borghesi), senza veste talare, nemmeno quando celebravano Messa, non si prestavano per l’insegnamento catechistico in parrocchia, amavano la buona mensa, il gioco e la caccia ….
Alla fine queste chiesole erano molto dispersive per la vita comunitaria perché i fedeli vicini ad esse per comodità erano portati a frequentarle, estraniandosi in tal modo dalla parrocchia e sottraendosi, fanciulli e adulti, dall’insegnamento catechistico che veniva impartito soltanto in parrocchia
Il battistero spostato
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Nient’altro si sa degli antichi fonti battesimali.
Pittori all’opera
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Per grazia ricevuta
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Passato sopra questo Ponte non recò alcun danno, sebbene n’abbia recato degli altri gravissimi in altri luoghi posteriormente a noi, come n’avea causati anteriormente. Qui smosse solo un poco la cuppola del campanile, e gettò due pilastrelli laterali della stessa.
Da quell’anno in poi si è sempre fatta in questa chiesa l’esposizione del Venerabile (=Santissimo) in rendimento di grazie con apparato di mano in mano sempre più maestoso fintantoché giunse a quella perfezione in cui si trova presentemente, attraendo a questa devotissima maestosa Funzione popolo da tutti i paesi circonvicini, ed anche da Padova.” Così il Cronicon. E dalla solennità e importanza conferita al rito di ringraziamento, c’è da credere che quel 17 Agosto gli abitanti di Ponte di Brenta se la siano vista veramente proprio brutta.
Ecco com’è descritta la “devotissima maestosa Funzione”:
“Circa alle ore 11 si canta la Messa votiva solennissima del SS.mo Sacramento colla sola seconda Orazione pro gratiarum actione sub unica conclusione. In questa Messa si consacra per l’Esposizione. Finita che sia e fatto un giro o Processione per la chiesa cantando il Pange lingua, si espone il Venerabile sopra l’alto Espositorio (=il “tronetto” o “residenza” posto sull’altare, appena sopra il tabernacolo) a ciò preparato. Stava ivi esposto a tutte le ore del giorno, e per ciascun’ora stanno all’adorazione un sacerdote con cotta e stola, ed un Guardiano di San Giuseppe con la sua cappa.
All’ore 17 in cui sbuccò il turbine si suonano tutte le campane, e si fa dal pulpito un colloquio al SS.mo. Il dopo pranzo (cioè cena) un discorso morale, indi il Te Deum coll’orazione pro gratiarum actione, il Tantum ergo, e la Riposizione circa l’ore 24”.
Arredi in dotazione
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“…Questa Fraglia ha una Notarella, un Bussolo (=un contenitore di legno per le pallottoline, bianche e nere per le elezioni dei Massari), doi doppieri (=candelabri a più candele) un panno da morto negro (per coprire le bare durante i funerali), li suoi candelotti negri, il suo Confalon (detto Penello) con la morte depenta, la sua cassella in chiesa, e una morte…”
Questo nel 1655. Oltre cento anni dopo la dotazione si arricchisce:
Un funerale a furor di popolo
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Bisognava provvedere al funerale ma qui ci fu una gran ribellione dei parrocchiani: don Paolo Menato, l’arciprete di Torre (Pieve-matrice di tutte le chiese della zona) pretese di officiarlo, affermando che era suo diritto perché per importanza la chiesa di Torre era al di sopra delle altre. Probabilmente quel diritto lo manifestò un po’ troppo rudemente (ma ci doveva anche essere della vecchia ruggine nei rapporti tra le due comunità per cui ogni occasione era buona per le ripicche). Sta di fatto che la cosa non fu di gradimento degli abitanti di Ponte di Brenta.
Il Cronicon continua: “Il di lui cadavere, dopo sedata la sollevazione del popolo che non volle per verun modo che lo seppellisse il Sig. Arciprete di Torre Don Paolo Dott. Menato, e fu sedata colla cessione di esso Sig. Arciprete ed elezione ad hunc finem (=per questo scopo) del più vecchio della Congrega Don Paolo Dott. Bazzetta Rettore di Noventa, essendo Economo il Rev. Sig. Don Gaspare Boldrini che per essere nipote del defunto non ebbe cuore di dargli sepoltura: il suo cadavere, dissi, avendogli fatto il funerale la Scuola Cappata di San Giuseppe che lo accompagnò con pompa, fu seppellito dopo i tre Notturni e la Messa solenne coll’Organo, dietro l’altar maggiore il dì 7 Dicembre 1781 coll’assistenza di tutti i parrochi di Congregazione e altri sacerdoti, in una bucca scavata direttamente per esso.”
Ma lo sgarbo subito non andò giù all’arciprete di Torre perché la cosa non finì lì: celebrato o no, il funerale gli doveva essere riconosciuto e si andò in lite. Furono coinvolte le autorità perché il Cronicon così conclude: “Il dì poi 24 Maggio 1782, nato prima litigio tra il suddetto Arciprete di Torre e l’Economo suddetto e questa Comunità …..(omissis) ….. dall’Ecc.mo Avogardo Minotto, come dalla sentenza esistente in Archivio, fu deciso che avendo fatto il funerale la detta Scuola, non potesse nulla pretendere.
Così io D. Giovanni dott. Miotti novello Rettore (=parroco), essendosi fino oggi lasciato in bianco questo foglio (quello del Registro dei Morti)”.
Mascoli e Rochettoni contestati
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La spesa però fu arbitraria in quanto non autorizzata dai Confratelli i quali decisero di non farla passar liscia al loro capo. Si passarono alle vie legali per arrivare il 28 Ottobre 1785 a una transazione. Non si conosce la composizione del patteggiamento; si sa soltanto che Il Romanello per questa storia perdette la carica.
L’alluvione del 1786, quando il Brenta passava in piazza Barbato
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Il nuovo organo
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Così il 12 Marzo del 1787 il parroco, insieme ai Massari della Fabbrica della Chiesa, commissionò un nuovo organo al “Professor d’Organi” Gaetano Callido di Venezia.
Lo strumento “fatto con i più perfetti materiali che si può trovare in Venezia e lavorato con tutta diligenza e sapere dal Professore” doveva essere approntato per il 25 Aprile dell’anno successivo, festa di San Marco. Tutto il materiale sarebbe stato portato, via fluviale, da Venezia fino al Ponte di Noventa a spese del Callido e da Noventa a Ponte di Brenta a spese della parrocchia.
Il costo ammontò a 600 ducati (3.820 lire veneziane) e venne liquidata con un anticipo di 200 ducati “messo che sarà l’organo”, cioè a strumento posto in opera e funzionante, con saldo entro il mese di Aprile 1792. Inoltre restarono a carico della parrocchia “alloggio e cibarie” del costruttore e dei suoi operai (“giovani dieci”) per il tempo occorrente all’installazione.
L’archivista
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Ecco il succo dei fatti: come s’è già detto, Torre fu una delle pievi più antiche della diocesi e, come tale, fu chiesa-matrice di alcune altre che un po’ per volta divennero parrocchiali. Ottenuta la completa autonomia dalla Pieve, le chiese-filiali mantennero sempre un rispettoso riguardo di sudditanza onorifica nei confronti della loro chiesa-matrice. Al tempo di don Miotti questa sudditanza si riduceva alla partecipazione dei parroci delle chiese-filiali alla funzione del Sabato Santo nella chiesa arcipretale di Torre per poi riceverne gli Olii Santi ed a offrire un cero all’arciprete.
Come visto, si erano già avuti evidenti segni di insofferenza verso la Pieve di Torre, ma la polemica si fece più aspra quando la contesa fu presa di petto da don Miotti il quale stampò addirittura tre opuscoli rivolti:
- ai massari e arciprete di Torre;
-all’arciprete di Torre ed ai comuni di Torre, Arcella e Mortise;
-ai comuni di Noventa, S. Vito, S. Lazzaro, Cadoneghe, Meianiga, Altichiero e Saletto contro l’arciprete di Torre ed i comuni di Torre, Arcella e Mortise.
Grazie anche a tutto questo dispiegamento che oggi chiameremmo mediatico, don Miotti ottenne, secondo lui, “giustizia” da parte dell’autorità civile e religiosa. Nel 1790 celebrò la sua vittoria in forma davvero poco consona ad un sacerdote, “con chiassi, bagordi, luminarie, spari di mortaretti e letterarie composizioni. Borie e vanità incredibili ma pur vere in uomini di scienza e sacerdoti.” (così il Gloria).
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Un altare “trafficato”
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In quell’anno don Miotti la sostituì con il bel Crocifisso che vediamo collocato accanto all’ingresso della sacrestia. Fu una decisione presa dall’assemblea appositamente convocata il 28 maggio, con 73 voti favorevoli e 11 contrari.
Il Crocifisso restò sull’altare per poco più di un secolo per poi cedere il posto alla statua di San Giuseppe.
Questa statua è opera moderna in legno, fatta da artigiani della Val Gardena ed ha esclusivamente valore devozionale. Quella della Madonna del Parto, pure lignea, è invece antica ed è custodita in canonica.
Il Crocifisso, acquistato a Venezia nel giugno del 1791 e appartenuto ad una congregazione soppressa, costò, visto e piaciuto, “solo lire 62”, dice don Miotti, ma proprio non doveva essere in buono stato se il sacerdote così continua: “A farlo poi pitturare a carne, indorar il diadema, i chiodi, il titolo, e colorir la croce, nel fabro e intagliador che lo rifece in qualche membro offeso, in tutto lire 128.”
14/g
“Serie di cose avenute in questo luogo (in) rapporto alle Potenze belligeranti di Europa, cioè tra Francesi e Tedeschi.”
Essendo successo un fatto d'armi a Bassano tra le truppe Tedesche e Francesi il dì 8 settembre 1796 colla peggio dei Tedeschi; questi fuggendo passarono in gran parte per Ponte di Brenta con circa 300 Carriaggi portandosi a Legnago ove era una forte Guarnigione Tedesca. Ma di lì a otto giorni resasi questa prigio-niera di guerra ai Francesi, si è veduta passare scortata da 20 circa soldati a cavallo dell' esercito francese per questo medesimo luogo verso la Germania, poiché erasi resa cogli onori della guerra. Era questo di soldati 1600.
Tutti i mesi di ottobre, novembre, dicembre e gennaio seguenti si videro sempre soldati e carriaggi tedeschi ora in piccolo, ora in molto numero andare, venire e ritornare. Circa 15.000 di essi ebbero Quartier d'Inverno in Padova fino ai sette del corrente gennaio 1797 in cui scrivo, avendo in quel frattempo veduto questo popolo un distaccamento tedesco custodire il nostro novello Ponte col cannone postato verso Peraga. Ai sette dunque, come sopra, si partì da Padova per Legnago già posseduto ossia occupato (era per altro e fu sempre della Serenissima nostra Repubblica) dalle Truppe Francesi dirette sempre dal Generale in Capite Buonaparte di nazion Corso, e giovane di anni 27.
Due o tre giorni dopo passarono di qua provenienti dal Friuli moltissimi soldati Tedeschi in varie riprese con carriaggi in proporzionato numero e con 27 Carri aventi sopra ciascuno un gran Barcone coi necessari attrezzi per costruire un Ponte onde passar 1'Adige col corpo di 12.000 diretto dal GeneraI Provèra.
Due giorni dopo si videro pochi alla volta ritornare indietro circa mille soldati con vari Carriaggi, e coi Carri dei Barconi già vuoti, e con 7 Barconi avanzati per la costruzione del Ponte. Fu bensì felicemente costruito e posato, ma dai Francesi poi rotto. Fu fatto prigioniero il GeneraI suddetto con quasi tutta la sua truppa. Ciò accadde dai 10 fino ai 20 del gennaio suddetto 1797.
Quando all'impensata giunsero a spron battuto in questo Paese da Padova alle ore 20 del dì 22 otto soldati di Cavalleria Francesi in traccia di Tedeschi. Saputo che non ve ne erano, ritornarono alle 22 al n. di 200 a cavallo lasciando addietro 800 di Fanteria, i quali ritornarono per quella notte in Padova ad unirsi al grosso corpo di 15.000 giunti la stessa sera. Alla mattina susseguente, giorno di domenica, arrivò a Tamburo battente il corpo suddetto di 800 di Fanteria, i quali si divisero parte nel Palagio di Casa Contarini, parte nel Palazzi no di fresco fabbricato, e vuoto d'abitanti di ragion del Sig. Vincenzo Todescato. I 200 poi suddetti di Cavalleria si erano dispersi in varie Case e Palagi di questo stesso luogo la sera stessa del loro arrivo, avendosi il Colonnello e Sergente maggiore, ch'era detto Generale, stabilito nel Palagio degli Ecc.mi Giovanelli.
Furono senza numero i mali, i disordini, i danni recati da questa gente già non più cattolica sin dalla Rivoluzione Francese del 1789, alle case, ai palagi, e ai particolari di questa Terra.
Così andò la cosa fino ai 24 dello stesso (mese) per tre giorni.
Quando alle ore 17 del giorno medesimo si vide giungere ordinatamente il restante del grosso corpo da Padova, a riserva di circa 2000 che uscì per la Porta di Codalonga. Circa 12.000 passarono per (di) qua dalle ore 17 ut supra fino alle 22 con uno spettacolo assai imponente e commovente a un tempo stesso, riflettendosi questo gran Corpo si fermò fino alle 22, come dissi, intanto uccidendo tre buoi, facendo la distribuzione della carne, e del pane per due giorni; e allora si partì tutta, (quei di cavalleria erano in tutti 600) per Cadoneghe, Mejaniga, Vigodarzere ecc. verso Cittadella, e poi a Bassano ove era altra Truppa Tedesca che l'aspettava.
1/h
Il sacerdote arrivò persino a mandare il 26 Novembre del 1804 una richiesta di proibizione al barone d’Hingenan, regio capitano di Padova, “onde ottenere proibizione dell’abuso o disordine d’insultare al matrimonio dei vedovi colla così detta Battarella e dell’altro dei ragazzi di strepitare e disturbare la notte del primo dell’anno”. Il barone l’accontentò facendogli avere a giro di posta un decreto “d’inibizione” .
L’imperatore arriva a Ponte di Brenta accolto da 16 angioletti
2/h
Era immenso il popolo da tutte le vicinanze concorso alla comparsa dell’Augusto Sovrano; io e gli altri ministri apparati, con altro clero ancora in cotta, discendemmo dall’alta scalinata dell’Apparato suddetto andandogli incontro col Crocifisso per bacio, e coll’incensiere. Si fermò l’Augusto viaggiatore, con tutta la comitiva (il che poi si seppe che da Venezia a Padova non fece in nessun altro luogo in cui di passaggio venisse aspettato ed incensato) ricevette, a baciar devotamente a capo scoperto il Crocifisso e la incensazione….”
Cronicon (don Miotti)
Don Miotti viene operato ma l’intervento non riesce e il chirurgo se la dà a gambe
3/h
L’ultimo e il primo
4/h
Ai tempi del colera
5/h
Grazie alle sue pignatte, Ponte di Brenta era in affari anche con Mantova e Zara
6/h
Se tu entrassi in qualcuna delle loro fabbriche vedresti con quanta facilità si lavorano, onde la ragione del modico lor costo, del grande loro spaccio sino a Mantova e Zara, e quindi del lucro, che se ne ottiene. Né tu creda che la terra per comporle si prenda tutta dai dintorni. Proviene per molta parte dai nostri Colli Euganei, segnatamente dalla valle che sta ai piedi del monte della Zucca.
Dii quella terra si ammanniscono grandi palle, che indi portansi al vicino canale di Mezzavia, ove i fabbricatori di Ponte di Brenta vanno a comprarle … dai dintorni di Ponte di Brenta si toglie l’argilla per formare solo i vasi ad uso di piante da giardino, taluni molto grandi e ornati a festoni e mascheroni”.
Di quelle fabbriche resta solo qualche piccola memoria scritta ed il nome della via nella quale erano situate: Via delle Ceramiche.
I diritti dei Soci della Scuola del Suffragio
1/i
All’inizio del secolo scorso, per poter far parte di questa Compagnia dopo che la domanda era stata approvata dal parroco-presidente e dai consiglieri, bisognava pagare una tassa d’iscrizione di 2 lire e una quota mensile di 25 centesimi, salvo il mese di luglio in cui si dovevano versare 35 centesimi.
Oratorio Madonna di Pompei
2/i
L’oratorio fu fatto costruire nel 1907 dall’allora parroco don Carlo De Poli e non è altro che la costruzione che ancor oggi si trova addossata al fianco della chiesa, dal lato di Piazza Barbato. Fu utilizzato a scopo religioso solamente in qualche rara occasione e unicamente nei primi anni di vita, mentre successivamente venne impiegato come ripostiglio e persino come custodia di biciclette fino alla sua ristrutturazione avvenuta nell’immediato dopoguerra.
La realizzazione dell’opera, costò esattamente L. 7.270,20 che ai giorni nostri -rif. 2011- corrispondono a € 27.477 (di cui € 6.276 per manodopera).
La trasformazione (soprattutto interna) del fabbricato, così com’è attualmente risale al 1950 ed è costatata oltre 1 milione di lire (€ 17.500).
Una “ritoccata” è stata fatta nel 1983 con la sistemazione delle stanze del piano inferiore (nuovi pavimenti e applicazione di controsoffitti).
3/i
Don Carlo de Poli (parr. 1891-1924) di carattere mite, sensibilissimo, come è stato scritto, e che soffrì terribilmente tanto da essere definito il “paziente Giobbe”, oltre a volere l’Oratorio della Madonna di Pompei, pensò di aprire in parrocchia una “cucina economica” come veniva chiamata fino a qualche decennio fa la mensa per i poveri (oggi questa forma di assistenza a Padova è conosciuta come “cucine popolari”) con il determinante aiuto della famiglia Giovanelli.
4/i
Due ore di gloria
5/i
“La domenica 22 Settembre 1929 resterà memorabile per la augusta visita di S.A.R. Umberto di Savoia, Principe di Piemonte e Principe Ereditario, venuto ad inaugurare il monumento ai gloriosi Caduti (quelli della guerra ’15-18) costruito nella vasta piazza S. Marco (così allora si chiamava quella che nel secondo dopoguerra verrà rinominata Piazza Barbato).
Fu un insigne onore a Ponte di Brenta fu così equiparata ad una delle nostre città.
La popolazione seppe accogliere l’erede al trono, il figlio del Re Vittorioso Vittorio Emanuele III in modo da renderlo pienamente soddisfatto. Egli arrivò a Ponte di Brenta col treno reale e fu incontrato alla stazione ferroviaria da tutte le civili, politiche e militari autorità di Padova e da S.E. Mons. Elia Dalla Costa, Vescovo di Padova.
La sua permanenza a Ponte di Brenta fu dalle ore 4,30 alle ore 6,30 pomeridiane. Egli fu ospite della Fondazione V.S. Breda …
Il Vescovo, presente il principe in piazza, benedì il monumento e così i nostri morti in guerra, furono degnamente ricordati”.
La tromba d’aria del 1942, abbatte alberi e scoperchia case
6/i
Le giostre sul piazzale sono librate in aria dalla furia del vento e cadono sfasciate. La chiesa è riparo dei passanti.
Molti feriti all’ippodromo Breda. Una bambina è denudata dall’acqua e dalla ressa. La Croce Verde e macchine di piazza fanno la spola tra Ponte di Brenta e Padova per trasportare i feriti. Molte persone, anche di quelle che si professano atee o indifferenti, invocano Dio.
Danni ingenti alle piante e alle abitazioni. Il bosco della fondazione Breda appare spogliato dei suoi alberi secolari. La muraglia divisoria della canonica colla corte Massarotto è abbattuta.
Mentre nei paesi vicini le chiese hanno subito danni anche gravissimi … la nostra è rimasta illesa … Il treno fu interrotto per due ore essendo caduti sui binari i pali dei fili.
Anche il tram rimase sospeso: non funzionava. E la notte tutta la borgata dovette rimanere senza luce. San Marco tuttavia ha protetto tutti noi (e, penso io, il vostro santo parroco don Domenico Leonati).
In parrocchia danni alle case e grande spavento, ma le persone incolumi”.
La via dedicata a don Leonati
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Si trova in zona San Carlo, nella parrocchia di San Gregorio Barbarigo.
Quanti siamo e....quanti eravamo
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